Metabolismo stressato

08 marzo 2006
Aggiornamenti e focus

Metabolismo stressato



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Che lo stress faccia male non è una novità, ed è un'affermazione che spesso suona come un luogo comune, una sorta di spiegazione universale a tutti i malesseri. Nel tempo, tuttavia si sta lentamente trasformando in verità scientifica, comprovata da ricerche autorevoli su campioni sufficientemente ampi per poter estendere i risultati alla popolazione generale. Una delle più recenti ha dimostrato che un altro bersaglio dello stress, per esempio associato al lavoro, può essere il metabolismo. La conseguenza patologica è la sindrome metabolica, anticamera del diabete e fattore di rischio per malattie cardiache.

Un quadro complesso


In quanto sindrome, si tratta di un quadro clinico che include alcune condizioni patologiche fattori di rischio indipendenti per le suddette malattie: obesità addominale, dislipidemia aterogenica (cioè valori anomali dei lipidi nel sangue), pressione sanguigna elevata, resistenza insulinica (con o senza intolleranza al glucosio), predisposizione alle trombosi e agli stati infiammatori. In precedenti studi era stato osservato un gradiente sociale rispetto alla comparsa della sindrome (e anche delle malattie cardiache), probabilmente dovuto a una diversa esposizione allo stress lavorativo: i gruppi sociali meno avvantaggiati apparivano maggiormente esposti e quindi più inclini a svilupparla.
La forza dello studio comparso sul British Medical Journal è sicuramente la durata del monitoraggio, che ha coperto 14 anni di vita degli oltre diecimila soggetti presi in considerazione.

Lavorare stanca


I dati sono stati raccolti con questionari standard in grado di definire il livello di stress lavorativo, ai quali poi si aggiungevano informazioni sulle abitudini di vita come consumo di frutta e verdura, abitudine al fumo, abuso di alcol, attività fisica e infine età e livello di inserimento professionale. E' emerso che, indipendentemente dal sesso, il livello di impiego più basso aumentava le probabilità di sviluppare la sindrome metabolica, con un andamento proporzionale, fino a raddoppiare nelle categorie professionali più basse. In caso di stress cronico, cioè il susseguirsi di tre o più momenti di esposizione durante il periodo considerato, le donne risultavano più sensibili; infatti, mentre per gli uomini il rischio raddoppiava (rispetto a chi non aveva vissuto lo stesso tipo di stress), per le donne diventava cinque volte più alto. Come ci si poteva attendere, abitudini alimentari e stili di vita scorretti aumentavano il rischio e questo avveniva più spesso negli uomini. Depurando i dati di rischio relativo dal peso degli altri fattori di rischio, il rapporto di dose-risposta tra stress lavorativo e rischio di sindrome restava.
Le spiegazioni biologiche di tale associazioni vanno ricercate negli effetti dello stress lavorativo sulle funzioni del sistema nervoso autonomo, quello deputato al controllo delle funzioni neurovegetative che garantiscono la vita, e in particolare sull'attività neuroendocrina. In un altro studio, per esempio, è stata osservata, in un campione di uomini, una correlazione tra la riduzione della funzione cardiaca autonoma, la sindrome metabolica, basso livello lavorativo e isolamento sociale. Ricercatori di psicobiologia hanno dimostrato che una suscettibilità allo stress e una scarsa capacità di recupero dopo una fase di stress, accertate con misura della pressione sanguigna e di marcatori infiammatori, era in grado di prevedere lo sviluppo della sindrome nei successivi cinque anni. E' probabile che lo stress psicologico cronico riduca la resilienza (capacità di recupero) biologica e quindi disturbi l'omeostasi (equilibrio interno). Ragion per cui, lavorare sì, ma con un po' di calma.

Simona Zazzetta



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