Infiammazione a distanza

09 marzo 2007
Aggiornamenti e focus, Speciale Bocca sana

Infiammazione a distanza



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L'infiammazione emerge sempre più come una chiave di lettura di svariate condizioni patologiche, i suoi effetti inoltre non appaiono confinati. Un esempio è quello della parodontite cronica, infezione piuttosto comune dei tessuti intorno al dente cioè del parodonto, che è apparsa associata a livelli elevati di proteina C reattiva e di altri marker d'infiammazione: diversi studi hanno mostrato che si associa anche ad altri stati patologici come, in ambito cardiovascolare, disfunzione endoteliale, aterosclerosi, aumentato rischio d'infarto miocardico e ictus. Uno studio ora evidenzia che il trattamento intensivo della parodontopatia può migliorare sul lungo periodo la funzione endoteliale.

Azione pro-ateroma dei patogeni


La disfunzione del rivestimento interno dei vasi, l'endotelio, è ritenuta la via comune attraverso la quale diversi fattori di rischio quali l'infiammazione influenzano i processi aterosclerotici favorendo nel tempo gli eventi cardiovascolari. E, in aggiunta ai dati degli studi clinici, osservazioni da studi sperimentali sull'animale hanno mostrato che i batteri patogeni parodontali promuovono l'aggregazione piastrinica, la formazione delle foam-cell (cellule schiumose) e lo sviluppo della placca o ateroma. Autori britannici hanno quindi condotto un trial su un gruppo di 120 persone con parodontite severa e generalizzata (oltre il 50% dei denti colpiti) per valutare gli effetti sulla funzione endoteliale a breve termine e fino a sei mesi dopo trattamento intensivo oppure standard, aggiunto alle istruzioni per una corretta igiene orale: il secondo è consistito nella normale rimozione meccanica del tartaro, mentre nel primo si è eseguita anche un'ablazione intensiva con levigatura delle radici dopo anestesia locale, estesa a tutta la bocca, con estrazione dei denti che non potevano essere mantenuti e somministrazione locale di un antibiotico.

Miglioramenti dimostrati a sei mesi


Si sono valutati la funzione endoteliale in base al diametro dell'arteria brachiale durante il flusso (dilatazione flusso-mediata), i marker d'infiammazione e coagulazione, l'attivazione endoteliale, con misurazioni ripetute a un giorno, una settimana e uno, due, sei mesi dal trattamento. A ventiquattr'ore, nei trattati intensivamente rispetto agli altri si sono registrati valori significativamente più bassi di dilatazione e più alti dei marcatori (come proteina C reattiva, interleuchina E, E-selectina e fattore von Willebrand), a indicare una momentanea infiammazione e disfunzione endoteliale. Dopo due mesi, tuttavia, e ancor più dopo sei, nello stesso gruppo la dilatazione era significativamente più elevata che nei controlli e i livelli di E-selectina (marker di attivazione endoteliale) erano più ridotti. Le differenze tra gruppi per la proteina C reattiva e l'interleuchina 6 a due o a sei mesi non sono apparse significative; i marker sono diminuiti con entrambi i trattamenti, ma gli autori ritengono che possano non riflettere adeguatamente il processo infiammatorio o che i miglioramenti che si ottengono sul lungo periodo siano indipendenti dalla risposta infiammatoria sistemica. Infine, il miglioramento della funzione endoteliale è risultato associato al miglioramento dei parametri della parodontite. I meccanismi con i quali la parodontite ha effetto sulla funzione endoteliale restano incerti, i patogeni coinvolti potrebbero produrre sostanze che agiscono direttamente (passando momentaneamente nel sangue con la pulizia dei denti) o essere cause scatenanti una risposta infiammatoria sistemica. Da chiarire anche se in caso di parodontite meno severa di quella dei partecipanti si possano ottenere miglioramenti analoghi e, soprattutto, se il trattamento intensivo delle forme severe possa contribuire a prevenire l'aterosclerosi e gli eventi cardiovascolari in quei soggetti.

Viviana Zanardi



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